giovedì 17 settembre 2015

11 settembre 2015 – 1° Interdisciplinary Forum on Terrorism




Crisi internazionali, immigrazione, ruolo delle identità: questi sono stati i temi al centro della riflessione organizzata da Link Campus University, in collaborazione con SudgestAid, nell’ambito del I Interdisciplinary Forum on Terrorism dell’11 settembre scorso.
L’iniziativa, che è  stata realizzata come parte delle attività dei Master “Intelligence and Security” e  “Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale” svolti dall’Università, ha visto coinvolti molti dei Docenti del progetto. Sono in ordine intervenuti Maurizio Zandri, Anna Maria Cossiga, Marco Emanuele, Carlo Jean, Gianluca Ansalone, Maurizio Melani, Alessandro Merola, Marco Mayer.
 I vari conflitti che si stanno espandendo in numerose regioni del globo stanno portando i loro effetti  diretti nella nostra società anche attraverso la drammaticità dei flussi migratori in atto. Come affrontare questo cambiamento epocale che ci coinvolge tutti, è stato uno degli interrogativi centrali della giornata.
Gli interventi hanno offerto analisi aggiornate sui vari scenari (Siria, Libia, Iraq, Afghanistan, Ucraina, …) per poi convergere su una riflessione comune e vivace sui temi delle “identità”etnico-religiose, dei nazionalismi, delle variabilità di confini e  forme di “Stato”. Quest’ultima  molto stimolata dalla necessità di comprendere e combattere il fenomeno ISIS.
Diversi approcci e sensibilità dei relatori hanno permesso di leggere da punti di vista complementari i conflitti in corso soprattutto nell’area mediterranea e medio- orientale. Non si è discusso solamente delle cause “strategiche”, o delle motivazioni delle leadership,  ma anche dei moventi più profondi che spingono il singolo individuo a partecipare ad un conflitto. Le stesse motivazioni che hanno portato centinaia di giovani europei e non ad unirsi alle file del Califfato, seguendo un percorso tragico e omicida.
Così si è finito anche per ragionare sulla ambiguità delle “identità”: elemento di forza, riconoscimento di valori e “vocazioni”, ma anche di “distinzione”, alterità, separazione tra comunità e humus di molteplici esperienze conflittuali. L’identità, è stato detto, spesso diviene una ricerca di se stessi e delle proprie radici che diventa tanto più frenetica ( e pericolosa)quanto più ci si sente precari e minacciati.
L’ISIS in questo senso è certamente il sintomo di un malessere profondo. Un fenomeno il cui principio può essere cercato tanto negli “umori e frustrazioni” del fondamentalismo sunnita,  quanto nelle ciniche e poco lungimiranti politiche delle potenze regionali e globali, che hanno pensato di servirsene in funzione anti-iraniana.
Guardare solo a queste ultime, però, non può fornirci una visione completa del problema. Occorre osservare attraverso diverse categorie. Il mondo che avevamo davanti dopo la caduta del muro di Berlino, sta nuovamente cambiando conformazione. Si assiste alla rinascita dei confini, dopo un periodo in cui la geografia sembrava divenire liquida. Ritornano fattori passati, diversi in intensità ed ordine. I totalitarismi, i nemici del secolo scorso, guadagnano nuovi tratti nelle formazioni dello Stato Islamico.  Un pericolo onnipresente.
Un riflessione ulteriore, molto connessa alle precedenti, ha riguardato anche gli errori di gestione nelle ultime crisi da parte dei Paesi Europei ed “occidentali”. L’esperienza dell’intervento in Libia è ormai communente considerata fallimentare. Più che altro mancante di lungimiranza nel prevederne e controllarne gli effetti successivi.
Questo fallimento in particolare evidenzia anche le responsabilità italiane. Per prima cosa nella mancata definizione degli interessi nazionali attuali, i paletti necessari per sviluppare una strategia di lungo termine.
Ciò è avvenuto anche nel contesto atlantico, come hanno sottolineato molti degli interventi, in cui oltre alla strategia è venuta meno una reale visione d’insieme e di partnership.
Le considerazioni finali non potevano non riportare  al centro i comportamenti e le paure degli europei di fronte all’ondata di rifugiati in fuga dai teatri di guerra.
È in pericolo la nostra identità? Va rafforzata in differenziazione davanti la marea di migranti in cerca di asilo? Ne va auspicata l’integrazione o se ne rende necessario respingerli?

Probabilmente come è stato sottolineato in diversi interventi, l’invito da fare è di non avere paura della  contaminazione. Un processo controllato di apertura dei confini e personale per accettare un cambiamento in atto. Un progresso che può esser positivo, ma che racchiude anche il pericolo di un conflitto interno alla “cittadinanza” europea,  se non accettato e gestito adeguatamente. 

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