mercoledì 18 febbraio 2015

Libia: non è mai troppo tardi (Maurizio Zandri)

La drammatica crisi libica ci mette paura. Ma la paura non è sempre un sentimento negativo: accentua l’ attenzione; mette fretta nell'individuare soluzioni; genera istinto di sopravvivenza… Basta non lasciarla divenire panico.
Di fronte al rischio di perdere un bel po’ delle nostre risorse energetiche (diciamo un 25%) e di avere un “califfato” odioso e sanguinario sotto casa, bisogna mantenersi lucidi, non urlare “al lupo, al lupo” per suggestionare e autosuggestionarci, ma affinare le analisi di dettaglio, chiarire le strategie di medio termine, scegliere politiche di intervento a breve.
Innanzitutto, la reazione giordana dopo il rogo del pilota sunnita, figlio delle tribù beduine orientali, ci dà un segnale importante: le coscienze arabe moderate sono pronte a passare dalla condanna attendista all'azione. Vanno aiutate e non sostituite. Supportate ma rese sempre più protagoniste. La capacità di reclutamento dell'ISIS non è solo dovuta ai ricchi finanziamenti e appoggi che qualche potenza regionale ha furbescamente concesso nel recente passato e qualche potenza globale ha cinicamente fatto finta di non vedere. C’è anche un orgoglio di rivalsa, un transfert di massa verso l’immagine dei vendicatori, che coinvolge anche giovani “foreign fighters”, nati in Europa, ma carichi di rancori per la sensazione di marginalità che vivono. O attrae giovani delle terribili periferie arabe stanchi di non lavoro e convinti di subire dall’Occidente una inaccettabile politica dei “due pesi e due misure” in Medio-Oriente. Per arrestare l’emorrag
ia verso l’Isis bisogna saper parlare il loro linguaggio, fargli conoscere, anche con la durezza delle armi, l’isolamento che hanno rispetto alle grandi masse arabe e la distanza profonda dagli insegnamenti veri dell’Islam. E questo non glielo può raccontare ne’ Obama, né Renzi…almeno non prevalentemente.
Seconda cosa: quanto accade in Libia insegna a tutti che la politica di Cooperazione internazionale è soprattutto una politica interna. Che bisogna farla finita di tagliargli fondi pensando che “ in tempi di crisi, prima “casa nostra”..” Nulla, in questo momento influenza altrettanto la nostra qualità della vita, le nostre aspettative umane, e perfino, il nostro benessere materiale   che i barconi di disperati che premono sulle nostre coste e le nostre coscienze;  i tagliagole che possono infiltrarsi fino ai nostri supermercati;  la instabilità politica del Mediterraneo, che vuol dire rottura dei commerci e aumento dell’immigrazione.
La strada maestra, la strategia, è l’aiuto allo sviluppo della Libia e degli altri paesi in difficoltà. Questa è la tela su cui tutte le altre politiche si possono tessere. Senza di essa sarebbe come disegnare nel vuoto.
Aiutare chi? La confusione è tanta in Libia. E’ impossibile oggi non pensare ad un doppio percorso, che ha tempi necessariamente diversi. Subito: lavorare al dialogo tra le parti, i leader, i due (o più?)“governi”. Partire dall’alto per arginare il fuoco e iniziare a spegnerlo. Ma poi, subito dopo, ritessere le fila di un dialogo più profondo, tra Comunità, inter-tribale, territoriale, perfino di villaggio pagando con progetti di sviluppo la loro disponibilità a ragionare insieme. Pensare modelli istituzionali consoni alla cultura e alla storia locali, non agli interessi occidentali a breve. In questo caso, forse, modelli federali. Rafforzare il reticolo complesso ma ricco di autonomie locali, aiutando il protagonismo possibile, trascurando le illegalità marginali, non eliminabili del tutto in un percorso di uscita da una crisi bellica.
Infine, la grande diplomazia, le politiche delle mini, medie e grandi “Potenze”, dovrebbero tener conto che spingere verso il baratro alcuni teatri regionali (la Siria, la Libia, l’Iraq…) per consolidare posizioni di potere regionali o globali, o, addirittura, per migliorare la propria posizione al tavolo negoziale (come è nel caso della trattativa per il nucleare iraniano con le sue conseguenze in tutto il Medio-Oriente) sarà coerente con la tradizione del “grande gioco”, ma al limite dell’incontrollabilità in questa epoca di equilibri fragili.


Maurizio Zandri
Direttore Generale Sudgestaid

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