venerdì 5 luglio 2013

Movimento, democrazia, Esercito…. Che succede in Egitto?



a cura di Maurizio Zandri* 


Paola Caridi nel suo blog “Invisible Arabs” ci scherza su: “chiamiamolo UGO” propone ai tanti che in queste ore non vorrebbero usare il termine Golpe per descrivere gli avvenimenti egiziani… E già: l’esercito depone Morsi, un Presidente regolarmente eletto, ma la gente gioisce in piazza e fa fuochi d’artificio… non proprio come in Cile nel 1973.
Una rivoluzione, allora? In Portogallo, negli anni 70,  il Dittatore Salazar fu rimosso dalla “rivoluzione dei garofani”, che prese il nome dal fatto che i manifestanti mettevano dei fiori dentro le canne di fucile dei militari, i quali solidarizzavano con loro. Anche nell’ Ottobre di tanti anni fa (quasi un secolo, tra poco..) furono persone in divisa ad assaltare il Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo… Però si trattava di comportamenti effetto della disgregazione delle Forze Armate di regime, sotto gli effetti della crisi rivoluzionaria. Però né Salazar ne, tantomeno, lo Zar erano stati eletti da un voto popolare... Quello per i fratelli Mussulmani è stato invece ammirato (e ben accettato) da tutto l’Occidente; esaltato come “il primo voto democratico nella storia egiziana”….
E poi, le Forze Armate egiziane non presentano alcun segno di “disfacimento”, né di crisi, dall’alto dell’1,3 miliardi di Dollari che gli Stati Uniti gli passano annualmente. Assomigliano più a dei protagonisti. Non i soli, certo, ché le Piazze sono piene davvero.
Speriamo, però, che non assomiglino anche a dei “pupari”. Le “marionette” da gestire sarebbero troppe…o no?


* Direttore Generale di SudgestAid

lunedì 1 luglio 2013

Il risultato delle elezioni provinciali in Iraq: crescente polarizzazione intorno alle linee settarie



a cura di Elisabetta Trenta*
Il 20 giugno si sono svolte le elezioni provinciali nei governatorati di Ninewa ed Anbar dove, per motivi di sicurezza, non era stato possibile svolgerle il 20 aprile, quando si è votato in 12 delle 18 Province irachene. A questo punto mancano solo le province del Kurdistan, Erbil, Sulahimaniya e Duhok, dove si voterà a settembre, e quella di Kirkuk dove è impossibile votare dal 2005 a causa della complicata geografia etnica. I risultati della prima tornata elettorale, confermati a fine maggio dall'Independent High Electoral Commission (IHEC), hanno rivelato un cambiamento dei rapporti di potere nel paese e l’emergere di una forte area di opposizione per la coalizione sciita guidata dal Primo Ministro Nuri Al-Maliki. La State of Law Alliance infatti ha perso molte posizioni a favore degli altri due principali partiti sciiti, l' Islamic Supreme Council of Iraq (ISCI) di Ammar al-Hakim e il partito Sadrista di Muqtad al-Sadr.

Questo risultato è frutto dell'ampia area di dissenso nei confronti del governo attuale il quale, non solo raccoglie le proteste dei sunniti, che si sentono marginalizzati e perseguitati, ma è sgradito anche alle altre componenti sciite a causa della politica di eccessivo monopolizzazione del potere da parte di al-Maliki.

Una delle cause della violenza infinita in Iraq va ricercata nella centralizzazione del potere a livello governativo. E’ stato un errore dell’Iraq dopo Saddam quello di identificare vincitori e vinti e dare tutto il potere ai vincitori. Questo gli americani lo sapevano ed, infatti, nella costituzione irachena è presente il principio del federalismo. Ciò nonostante dal 2008 al-Maliki ha ri-centralizzato il potere, affidandosi ad una cerchia sempre più stretta di consiglieri sciiti che, temendo una “controrivoluzione”, hanno di fatto messo in piedi un sistema autoritario come quello che avevano combattuto. La cerchia di al-Maliki ha potere sulla selezione di tutti i comandanti militari, controlla la corte federale e si è impadronito della Banca centrale. Il braccio esecutivo sta togliendo tutti i controlli che furono messi per garantire che non riemergesse una nuova dittatura.

Le richieste più insistenti fatte dalle opposizioni anti-Maliki dei curdi e dei sunniti sono molto chiare; L’opposizione chiede:

• la delega dell'autorità fiscale al Kurdistan Regional Government (KRG) e alle province;

• l’implementazione di un sistema di controlli sul potere esecutivo, in particolare potenziando le funzioni del parlamento e istituendo una giustizia indipendente;

• un processo di riconciliazione nazionale, che dia giustizia alle vittime del regime di Saddam, ma che netta fine alle violenze indiscriminate contro i sunniti.

E’ per queste ragioni che Nuri al Maliki, pur avendo ottenuto il maggior numero di seggi, soprattutto a Baghdad e Bassora, ne ha perso circa un terzo rispetto alle elezioni provinciali del 2009. ISCI invece, che non essendo stato al potere negli ultimi anni ha raccolto il malcontento della popolazione e lo ha utilizzato in campagna elettorale, ha riconquistato alcune posizioni mentre Sadr è tornato primo partito a Maysan anche se in generale non ha fatto molti progressi. In Najaf la vincitrice è stata una lista locale, come già nel 2009, mentre a Diyala la lista sciita unita è stata la vincitrice ottenendo 12 seggi. L'esito del voto nei governatorati è indicativo di una crescente polarizzazione delle posizioni su base settaria ed infatti i partiti secolari, come la lista Iraqiyya di Allawi, hanno ottenuto risultati deludenti.

Per quanto riguarda i partiti d’ispirazione sunnita, la lista Mutahiddun, formata da una costola di Al-Iraqiyah e guidata da Osama al-Nujayfi, ha conseguito un ottimo risultato a livello nazionale, a dimostrazione che le linee settarie si stanno definendo e che l’influenza dei moderati diminuisce. La lista, composta da molti partiti che facevano parte di Al Iraqiya nel 2010, ha dei legami con il movimento di protesta, è supportata dall’elite religiosa sunnita e dai media sunniti sia Iracheni sia pan arabi.

Dato il ritardo del voto in Anbar e Ninewa, Salah al-Din e Diyala erano le province dove si concentrava il voto sunnita. In Salah al-Din una lista sunnita locale, l’Iraqiyya Masses Alliance, guidata dal governatore provinciale Ahmed Al-Juburi, ha vinto guadagnando sette seggi su ventinove, nonostante il suo leader sia considerato vicino a Nouri al Maliki. Il partito, che non aveva partecipato alle votazioni precedenti e che ha ottenuto la maggioranza relativa rispetto alle coalizioni sciite e sunnite, è stato seguito dal Mutahidun.

Probabilmente sia a Baghdad sia a Salah al-Din la posizione anti Maliki del Mutahidun gli ha permesso di vincere sette seggi rispetto a Arab Iraqiyya di Saleh al-Mutlag che invece ne ha persi. Al-Mutlag infatti aveva lavorato più vicino ad al Maliki rispetto agli altri politici iracheni sunniti e, forse a questo è dovuta la sua performance in Baghdad. In Diyala e Babilonia, al-Mutlag ha formato delle coalizioni con al-Nujaifi. Insieme hanno vinto un seggio nuovo in Babilonia e dieci in Diyala. Come già accennato, a Diyala entrambi i due partiti sunniti hanno perso rispetto alla coalizione sciita congiunta. Diyala è stata la vera novità di queste elezioni. Infatti, se nel 2009 Mutahidun, Arab Iraqiyya, e la coalizione Curda avevano ottenuto ventuno seggi su ventinove, nel 2013 le forze congiunte della maggiore coalizione sciita hanno guadagnato una maggioranza relativa di dodici seggi contro solo tre seggi andati nel 2009 alla sola SLA.

Di seguito, il risultato finale delle elezioni del 20 aprile. I numeri tra parentesi sono il numero di seggi che il partito aveva ottenuto nelle elezioni del 2009.


In queste settimane si stanno definendo i governi locali. Quasi tutti sono frutto di alleanze tra le varie formazioni e non in tutte le province è stata seguita la stessa logica. Maliki ha mantenuto il controllo nei luoghi sacri di Karbala e Najaf, anche se a Najaf un’alleanza Sadr/ISCI avrebbe avuto i voti per guidare il governo. Mentre a Muthanna, dove Maliki avrebbe potuto governanre da solo, si è alleato con ISCI ed ha tenuto per sè la posizione del governatore mentre un consigliee di ISCI è diventato presidente del Consiglio.

A Diyala invece è stato fatto un accordo per cui i Curdi e la lista locale Iraqiyya hanno formato il governo con l’appoggio di Sadr, ma non degli altri sciiti della lista sciita unita (soprattutto consiglieri di SLA inclusi membri di BADR e Fadhila).

Al Maliki ha consolidato la sua posizione nei governatorati di Dhi Qar, Babele e Salahaddin. D’altra parte ha perso Baghdad e Bassora e questo mette un punto interrogativo su quali saranno le alleanze in vista delle prossime elezioni nazionali del 2014.

La tabella sottostante riassume la dinamica delle alleanze.



Fonte tabella: http://www.iraq-businessnews.com/tag/elections/

Si attendono ora i risultati ufficiali del voto in Ninewa ed Anbar, aree nelle quali le proteste dei sunniti contro il governo di al-Maliki sono state più forti anche per via dell’influenza della vicina Siria. In Anbar hanno votato il 49.7 % degli aventi diritto mentre a Ninewa soltanto il 37.5%. Questa disaffezione per il voto è un fattore indicativo della frustrazione dei sunniti e del loro ritiro dal processo politico ed apre ancor più le porte all’opposizione armata.

I risultati del voto indicheranno chi saranno i protagonisti futuri della politica sunnita inoltre dalla performance dei partiti sunniti alleati di al-Maliki potranno essere colte informazioni per capire quale sarà la strategia del primo ministro per le prossime elezioni.


* Programme Manager SudgestAid S.C.a.R.L
ed esperta in Governance, Decentralizzazione e Relazioni Internazionali



mercoledì 12 giugno 2013

The difficult path for protection of women rights in Afghanistan


by Ahmadollah Omary*

Violence against women is sadly still common in Afghanistan and it is one of the longtime existed phenomenon iwhich has been governing by men on women.

Although Afghanistan people are Muslim and violence against women doesn’t have any place on Islamic papers, the three decades of war in Afghanistan supported this bad phenomenon.

The most common types of violence against women in Afghanistan are:
  1. Rape 
  2. Forced  prostitution
  3. Recording the identity of the victim and publicizing the identity of the victim
  4. Setting into flames, spraying chemicals or other dangerous substances
  5. Forcing into self‐immolation or suicide or using poison or other dangerous substances
  6. Causing injury or disability
  7. Battery and laceration
  8. Sale of women for the purpose of marriage
  9. Baad (retribution of a woman for a murder, to restore peace etc…)
  10. Forced marriage
  11. Prohibiting of the right of marriage
  12. Marriage before the legal age
  13. Abusing, humiliating, intimidating
  14. Harassment/ persecution
  15. Forced isolation
  16. Forced fasting
  17. Dispossessing from inheritance
  18. Refusing to pay the dowry
  19. Prohibiting to access personal property
  20. Deterring from education and work
  21. Forced labour
  22. Marrying more than one wife without the observance of Article 86 of Civil Code
  23. Denial of relationship

The government of Afghanistan established on 2009 the law “Counter Violence Against Women” through presidential decree.

The CVAW law foresees protection of women rights and respect of women as an independent human being who can decide her destiny and who can finally complain to justice if she is under pressure of violence and thanks with the violators can be punished.

Although CVAW law is not known by most of the people in Afghanistan, enforcing this law can help Afghan women for better future and better protection.

Unfortunately, on 27th of May 2013, the CVAW law was not approved by Afghan parliament because of extreme protests of the opposition claiming that some article would be against Islamic laws. At the moment the decision of the parliament it is not finalized yet. The law is currently under discussion at the parliament and it could be revised for approval.

The civil society organizations made demonstrations in different parts of the country in order to show their objections for any changes on this law but conservative/extremist Islamic members of the parliament keep on claiming that some article of CVAW is against Islamic rule and must change.

Afghanistan is a traditional society, most of the people are illiterate and live in suburban areas which are often unsecure and unreachable and where the women who lives there are often facing different kind of violations. Changing this law would mean for the perpetrators of violation against women to be more safe to continue their abuses.

I believe that changes on any of the articles of the CVAW law would push Afghan women a step-back about their protections.



*Project Officer SudgestAid S.C.a.R.L. Afganistan - Herat
 

martedì 28 maggio 2013

Concerns after 2014 and Peace Talks in Afghanistan: Optimism and Confidence in Herat?

by Ahmadollah Omary*


Transition of security and the possibility of a process of peace talks with the Taleban are a concern to most Afghans. House prices are falling, investors are getting more careful and more people are contemplating to leave the country because of concerns that the situation may get worse. However, the situation is not the same in all of the country; provincial differences are many. I am looking what is happening, and what these processes mean to the people of Herat, the capital of one of the biggest and most affluent provinces of Afghanistan.

In my opinion, people of Herat, infact, seems more confident of both the future of economy and their security. Herat’s geographical location, its culture and people’s priorities and lifestyles are all factors influencing the economic situation of the city and that can be considered important reasons behind why the outlook in Herat is so different.

Herat’s location on the border with both Iran and Turkmenistan makes the city one of the economic hubs of Afghanistan. Huge volumes of imported and exported products transit through the city, and the income generated by border revenues has long constituted an asset for the province, allowing for it to stand on its own financially in times of crises, and often constituting a major bone of contention between those in power at the local level and Kabul.

The Herati people’s attitude to savings is another major reason that affects the city’s economic situation. In Herat, for instance, very few people are used to luxury expenditures. Some examples of extravagancies, like expensive wedding halls, luxurious shopping malls and very expensive households - are not frequently seen in Herat. Women in Herat also play a very significant role in ensuring these savings. When buying expensive jewelry, for example, Herati women think of it as both as a deposit and a luxury item. So, when buying gold, Herati women pay attention to its future value, more than to considerations of fashion and style, and therefore, they usually buy pure gold that can be sold approximately at the same value it was bought.

The favorable geographic location, along with this saving attitude, contributed to make Herat's people one of the richest town in the country. Meanwhile, the economy of Kabul has depended to a great extent on international aid. The source of income of Kabul has been dependent, more or less directly, on international aid over the last ten years. Although the generous aid of the international community has had a significant impact on Herat's economy as well, fontunately it has not represented the only source of income. There has been a process of reconstruction by building roads, creating industrial parks and job opportunities.(Currently, there are 250 active factories and 50 out of activity inside Herat’s industrial parks).

Economy is not the only concern for Afghans for the post 2014 period; anxiety about the sustainability of security is another major trend among Afghans. For many in Kabul, the withdrawal of foreign troops after 2014 means the beginning of a civil war. Since Kabul was the hotspot of the Civil War between 1992-1996, its inhabitants are left with many bad memories of those years, and therefore are more worried of possible explosions of urban violence after.




* Project Officer SudgestAid Scarl - Herat, Afghanistan

lunedì 27 maggio 2013

Ricordando Guido Martini

Guido Martini ci ha lasciato improvvisamente la scorsa settimana. Da qualche anno era membro del Consiglio d’Onore di SudgestAid. I suoi consigli sul nostro lavoro nelle aree di crisi erano preziosi, così come le proposte di iniziative e i numerosi incontri che ci aiutava ad organizzare. Per questo lascia un vuoto difficilmente colmabile. Quello che ci mancherà di più è però la sua cordialità, la sua allegria, i tanti momenti conviviali che ci ha regalato, la gioia che ci dava la sua tavola imbandita nella bella casa di Formello. Era uno di noi. Ed era anche quello che è indicato dal ricordo che riportiamo nel link in basso, comparso su “Repubblica.it”

Dal Blog di Vincenzo Nigro su “Repubblica.it”

Le due Coree (e i suoi colleghi) salutano Guido Martini: un grande Ambasciatore d’Italia
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Guido Martini in un momento storico: da inviato della Ue attraversa per la prima volta il confine fra le due Coree a Panmunjom.
Foto di Repubblica.it

Un diplomatico che ha lavorato con lui ha segnalato a questa piccola rubrica la notizia della scomparsa dell’ambasciatore Guido Martini. Ci ha mandato le poche righe che pubblichiamo integralmente qui di seguito, e soprattutto ci ha allegato quasi un centinaio di messaggi che i diplomatici italiani si sono scambiati in questi giorni fra di loro. Tra gli altri c’è il telegramma alla famiglia del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che se non conosceva Martini di sicuro sarà stato indotto a scrivere quel testo dal suo consigliere diplomatico Stefano Stefanini.

Abbiamo letto tutti quei messaggi: testimoniano il rimpianto, l’ammirazione per un collega che deve essere stato un uomo davvero speciale. Un diplomatico che oltre a servire egregiamente il suo Paese, ha interpretato alla Farnesina il meglio della migliore tradizione del nostro ministero degli Esteri: grande capacità professionale, incredibile umanità, cultura e conoscenza del mondo, senso dello Stato ma anche leggerezza e indipendenza di spirito. Ci vorrà tempo, ma questo dovrà essere il nostro obiettivo: semplicemente gli italiani dovranno tornare ad essere quegli italiani migliori che Guido Martini ha rappresentato. L’ambasciatore Martini avrebbe saputo ancora come spiegarlo ai suoi colleghi. Ecco il necrologio del suo collega, che fra l’altro racconta di come ai funerali di Martini siano stati presenti gli ambasciatori delle due Coree, due fratelli-nemici al cui riavvicinamento Martini aveva lavorato per anni.

«Non capita spesso che gli Ambasciatori di due Paesi in guerra si ritrovino sotto lo stesso tetto. Può forse accadere in qualche occasione ufficiale, in cui possano facilmente ignorarsi a vicenda, ma se non sono obbligati dal protocollo o da ragioni di Stato eviteranno accuratamente di partecipare allo stesso evento. Le due Coree, quella del Nord (Repubblica Democratica e Popolare) e quella del Sud (più semplicemente “Repubblica di Corea”) sono tecnicamente in guerra dal 1950. Lo sono “di più” da quando, l’11 marzo scorso, Pyongyang (la capitale del Nord) ha denunciato formalmente l’armistizio che aveva posto fine ai combattimenti sessant’anni fa.

Eppure i due ambasciatori in Italia (entrambi Kim di cognome: Chun Guk il nordcoreano e Young-Seok da Seoul) si sono ritrovati venerdì insieme in una chiesa nella campagna romana, a Formello. Per commemorare la stessa persona: un grande diplomatico italiano scomparso pochi giorni fa all’età di 75 anni. Guido Martini, in una carriera quasi quarantennale, ha servito in sei sedi estere, cominciando a Parigi e Belgrado per poi dirigere il consolato a Marsiglia e le ambasciate a Colombo, Seoul e Rabat. Proprio a Seoul, l’ambasciatore Martini avviò nel 1994 un percorso che lo avrebbe condotto nel dicembre 2003 a varcare a piedi, alla testa di una delegazione Ue – primo rappresentante di uno Stato estero a farlo, dopo il Segretario di Stato Usa Albright – il 38° parallelo a Panmunjom, la frontiera più militarizzata al mondo. Da Direttore generale per i Paesi dell’Asia e dell’Oceania ha poi continuato a fare la spola tra Seoul e Pyongyang per facilitare quel dialogo intercoreano di cui era un convinto sostenitore e che oggi è ancor più cruciale per la stabilità internazionale.

Il ruolo dell’Italia in quel frangente non è stato dimenticato, come dimostra la presenza dei due Kim ai funerali di Formello. Né è stato dimenticato un uomo dal tratto signorile, gioviale e fuori dagli schemi, in un ambiente solitamente composto e paludato. Una volta, indossando un inappuntabile mezzo tight, di ritorno dal Palazzo Reale di Rabat dove era appena terminata la cerimonia di presentazione delle credenziali a Re Hassan, Martini fece ingresso in una sala gremita di imprenditori marocchini per inaugurare una conferenza economica. Conquistò immediatamente la platea con un esordio tanto atipico, quanto coinvolgente: «Faire du partenariat économique c’est comme faire l’amour: il faut être à deux, au moins…». Perché di Guido Martini viene ricordata alla Farnesina non solo l’abilità politica e diplomatica, ma anche quella capacità di “parlare alle folle e conservare la virtù/o passeggiare con i Re, senza perdere il contatto con il popolo”. Ossia quanto Kipling raccomandava al figlio: le doti di un mondo che fu».

Non conoscevamo l’ambasciatore Martini. L’affetto e il rispetto dei suoi colleghi ce l’hanno fatto amare.

martedì 14 maggio 2013

Guadagniamo di più se le cose sono fatte bene



Guadagniamo di più se le cose sono fatte bene


Non c’è programma di cooperazione verso Paesi terzi che non reciti immancabilmente versetti contro la corruzione e per la trasparenza della gestione dei fondi. Dalle chiacchiere di qualche anno fa si è passati, più recentemente, anche allo sviluppo di azioni mirate e specificamente dedicate alla lotta anti-corruzione. Corsi di formazione per i funzionari dei Paesi beneficiari; indicazione di procedure cogenti di procurement (acquisti e gare); costituzione di organismi di controllo; maggiore attenzione alle fasi di monitoraggio e valutazione dei progetti.

Non bisognerebbe mai dimenticare, però, che dove c’è un corrotto c’è sempre un corruttore. Il grosso dei fondi di aiuto finalizzati ad esperire gare nei Paesi terzi beneficiari, ad esempio,  sono destinati molto spesso a Società dei Paesi donatori, qualche volta vere multinazionali dei Progetti di aiuto. Esse entrano, giustamente, in contatto preventivo con la realtà locale. Qualche volta, però, non solo per capire meglio situazione e bisogni o per scegliere alleati locali affidabili. Un vasto e articolato sistema di intermediatori facilita non sempre la giusta osmosi donatore-beneficiario. Qualche volta suggerisce anche “costi di relazione”.

Questo tipo di “facilitazioni”, questi “aiutini” , finiscono per consolidare una classe dirigente dei Paesi beneficiari dipendente da centri di potere dei Paesi donatori, in un circolo vizioso difficile da interrompere.
La corruzione, come il “rischio ambientale” ed il “conflitto”, non è cosa eliminabile per legge, ma progressivamente mitigabile, si. Per questo non bastano le azioni nei Paesi beneficiari. E’ necessaria attenzione e durezza anche tra i soggetti coinvolti nei Paesi donatori. L’Europa interviene da tempo su questi temi  con Direttive e raccomandazioni. Il giusto, irreversibile, ruolo crescente delle Delegazioni  locali richiede continui adeguamenti, in grado di fronteggiare la complessità del decentramento. Il sistema di aiuti diretti ai Bilanci dei Paesi terzi, mentre permette un passo avanti nel processo di loro autonomia e di “ownership”, non deve però significare deresponsabilizzazione dei donatori. Non deve voler dire lavarsene le mani.

Tra le molte strade che è possibile seguire per indebolire la corruzione può essere utile pensare anche a quella più banale: essere duramente, ferocemente attenti ai risultati. Sulla misurabilità del successo di un Progetto abbiamo fatto grandi passi in avanti, anche con sistemi di parametrazione e indicatori sofisticati. Che i soldi spesi garantiscano i risultati attesi! In fin dei conti, se un progetto non servisse  a niente lo spreco di risorse, “la tangente”, sarebbe del 100%!
E poi anche i politici dei Paesi beneficiari sono sempre più impegnati nel farsi rieleggere. Se sponsorizzano programmi che non aiutano la loro popolazione alla fine ci perdono. 

Si guadagna di più se le cose sono fatte bene.



Maurizio Zandri
Direttore Generale SudgestAid S.C.a.R.L.